
A me le Olimpiadi piacciono un sacco.
Mi commuovo sempre a vedere le imprese eroiche degli atleti.
Mi viene come una voglia di dare il massimo, e di iniziare ad allenarmi.
Che poi dietro ogni impresa ci sono storie con tanto cuore.
Ci scappa anche la lacrimuccia e gioisco come se a vincere fossi stata io.
Allo stesso tempo la mia attenzione va anche a chi, magari per pochi centesimi di secondi, non riesce a salire sul podio.
Penso anche alla sua delusione.
E penso che è bello poter gareggiare, dando il meglio di sé e che ci sono anche vittorie invisibili e medaglie d’oro che solo noi possiamo metterci al collo.
Mio padre era uno sportivo e giocava per vincere. A volte perdeva.
La mia artista preferita, l’artista del mio cuore Maria Lai paragonava, in un modo così semplice e terreno, la vita di un artista ad una partita di calcio.
I calciatori creano azioni e si danno da fare tutto il tempo per fare goal. Se accade è bellissimo e tutto lo stadio gioisce.
A volte la partita finisce senza aver fatto goal e si va nello spogliatoio sudati e senza fiato.
Ma l’assenza di goal (e di quel certo tipo di vittoria) non toglie niente alla dignità e al valore di aver tentato tutto il tempo di segnare.
Il tentativo di fare goal è ciò che dà senso alla partita.
E così è per gli artisti, diceva la dolce e forte Maria Lai, il tentativo di fare goal è più importante che fare goal.
Così mi commuovo per chi vince e per chi perde, e ammiro la disciplina il coraggio la dedizione e la grazia necessaria per gareggiare.